L’Ospedale pubblico o la Casa di Cura privata assumono nei confronti del paziente una responsabilità contrattuale e rispondono, sempre a titolo contrattuale, dell’operato dei medici e del personale sanitario che collaborano con loro, ai sensi dell’art. 1228 c.c..
Il medico che ha materialmente eseguito la prestazione sanitaria all’interno dell’ospedale o della struttura priva risponde nei confronti del paziente a titolo di responsabilità extracontrattuale, salvo il caso in cui abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
È la legge a prevederlo, l’art. 7 della legge n. 24/2017 (c.d. legge “Gelli-Bianco”) ha infatti sancito che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del c.c., delle loro condotte dolose o colpose”.
L’art. 7 della legge c.d. Gelli-Bianco ha recepito una conclusione alla quale era giunta la S.C. di Cassazione già nel 2015 (cfr. Cass. civ., Sez. III 27 marzo 2015 sentenza n. 6243). In tale decisione gli Ermellini hanno chiarito che la legge n. 833/1978 istitutiva del SSN, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, mira a garantire i livelli minimi e uniformi delle prestazioni sanitarie da assicurare ai cittadini inserendo anche l’assistenza medico-generica tra le prestazioni curative affidate alle ASL. Poiché in forza delle disposizioni di tale legge, le ASL erogano l’assistenza medico-generica, sia in forma domiciliare che in forma ambulatoriale, assicurando i livelli di prestazioni fissati dal piano sanitario nazionale, il paziente, nella scelta del proprio medico di famiglia, agisce dunque nei confronti della Asl e opera un’azione destinata a produrre i suoi effetti nei confronti del SSN.
La Cassazione era quindi giunta già nel 2015 all’enunciazione del seguente principio di diritto “l’ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1218 c.c. del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai livelli stabiliti secondo la legge”; principio che è poi stato recepito dalla legge c.d. Gelli-Bianco.
È preferibile chiedere i danni e quindi fare causa alla sola struttura sanitaria che risponde a titolo contrattuale anche delle obbligazioni del personale medico o sanitario. Se si decide di citare in giudizio anche i singoli medici bisogna provare la loro responsabilità in via extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dimostrando in maniera molto puntuale i profili di responsabilità dei singoli medici e il nesso di causa fra danno e condotta illecita.
L’azione contrattuale è preferibile anche perché il termine di prescrizione è di 10 anni rispetto all’azione extracontrattuale il cui termine di prescrizione è di 5 anni.
Responsabilità anche di tipo penale?
La risposta è affermativa: la condotta del medico può essere punita anche dalla legge penale, ma solo in determinati casi.
L’art. 590-sexies comma primo del codice penale prevede che se i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose “sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma”. Il comma secondo di questo articolo invece prevede che “Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Dunque, l’art. 590-sexies comma 1 c.p. si applica solo ai reati di omicidio colposo (589 c.p.) e di lesioni personali colpose (590 c.p.). In merito alla condotta, ai sensi del comma 2, rileva la sola imperizia, legata all’inosservanza di linee-guida come definite o pubblicate ai sensi di legge (o, in alternativa, di buone pratiche clinico-assistenziali) ovvero all’adeguatezza delle suddette linee guida alle specificità del caso concreto.
Approfondimento: Risarcimento danni malasanità